lunedì 8 ottobre 2012

La ricerca dell'Amore ed un teatro di carta

@ www.DasPapiertheater.de, Kugelmenschen


Basel è una città piccola e quando attraversi in bicicletta il ponte St. Johann e il Reno riflette in polle annacquate le luci della sera, mentre gli edifici, illividiti dall'ultimo chiarore che precede il declino del giorno, si tengono in bilico sulla riva, goffamente sull'attenti, pensi che un lusso così in un'altra città non te lo potresti permettere. “Bello, eh?” Urlo ad Amélie che mi segue con pedalate frenetiche che divorano la salita, “Sì!” urla in risposta lei.

So che condivide la mia passione per quell'umile e potentissimo strumento di libertà che è il velocipede (perché in svizzero-tedesco si chiama ancora così, abbreviato 'Velo'). Un tappeto volante alla portata, anzi meglio: una macchina di movimento con il valore aggiunto del lavoro dei muscoli, che pompano, si contraggono, si stendono e ti fanno sentire, dal di dentro, di avere una forma, mentre, dal di fuori, la brezza inevitabilmente polisce la tua figura, ne contorna il volume nello spazio. Da ragazzina, con l'arrivo della primavera, salivo in sella e volavo via. L'isolato in cui intessevo interminabili giri finiva per perdere la sua fisionomia e diventava quinta scenica neutra, schermo su cui proiettavo le mie fantasie: lasciavo fuori le geometrie grigie della periferia e portavo con me gli alberi carichi di foglie del giardino dei miei giochi, il turchese di certi cieli ventosi d'autunno, le nuvole che impedivano al tardo sole di giocare con le mie guance innamorate. La fine dell'estate portava con sé una malinconia aggiuntiva: il tramonto delle mie scorribande su due ruote quando macinavo strisce di marciapiede a tutta velocità, derapando in curva.

Quella dolcezza dolente mi accompagna ancora oggi come se questa piccola cittadina, che per una strana alchimia mi ricorda i paesi liguri della mia infanzia, faticasse ad accomiatarsi e tardasse ad indorare le foglie per non dovermi veder partire. Invece rimango e, a consolare dai primi timidi annunci di freddo, c'è un altro irrinunciabile lusso: la stagione teatrale che si apre a fine settembre.

Il Vorstadttheater di Basel, il mio teatro preferito, è come la mia bicicletta: uno stupefacente mezzo di evasione, alla portata. Un capannone interno cortile, angolo verde, alberi e gorgoglio di fontana d'epoca; nel mini-foyer sedie e tavolini di legno scuro, levigato da mille passaggi, un bancone da cui non mancano mai treccia al burro ed un cesto di mele (il processo di sbucciatura con l'ausilio di un aggeggio d'altri tempi a manovelle e viti vale già di per sé il biglietto); un angolo lettura a misura di bambino con pile di libri e poltroncine vintage azzurre-rotanti; una parete d'ardesia ed una manciata di gessi, per gli attacchi d'arte graffittara.

L'inaugurazione del nuovo ciclo di spettacoli è stata celebrata con una tre giorni di festa orchestrata da una compagnia ospite molto particolare: il Papiertheater Nürnberg. Il tema che ha animato il week-end lungo aveva già impegnato, a suo tempo, Platone, che al mito dei Kugelmenschen, gli uomini-palla, aveva dedicato un dialogo nel Simposio (189e; 191d). L'origine dell'Amore, un soggetto di disarmante semplicità, è stato rielaborato e messo in scena con originale audacia dal 'teatro di carta' di Johannes Volkmann e Kristina Feix (un assaggio, lo trovate qui). Già dal sottotitolo, Ein gerissenes Stück Philosophie (un pezzo di filosofia, strappato), si intuiva che qualcosa di insolito sarebbe accaduto sul palco. E la prima cosa è stata una rottura del ritmo. La seconda un elogio della lentezza. La terza una sfida alla produzione di massa. Ma procediamo con ordine.

Un uomo ed una donna, in bianco e nero, camicia e pantaloni, essenziale. Li separa il silenzio, il senso dell'attesa ed uno schermo bianco di carta spessa che fa da quinta scenica, rettangolo di luce nel buio in cui il pubblico tace. Lui e Lei mostrano, ciascuno, un foglio di carta, intonso. Un foglio che è un Uomo e viene accartocciato a rappresentarne i pensieri confusi; un foglio che è una Donna e viene stracciato a renderne i sentimenti strapazzati. Questo è solo l'inizio e c'è già tanto. C'è il dualismo su cui si gioca l'intera pièce, c'è la potenza evocativa di cui gli oggetti più consueti e banali si caricano quando diventano veicoli di un messaggio artistico, c'è la pratica artigianale che marca, come stigmate di fabbrica, la produzione libraria del duo (ma di questo parlerò più avanti). Vedere il gesto della lacerazione e prendere atto che quella mistura di cellulosa sarebbe, potrebbe essere, spesso è davvero, una donna (o un uomo, sarebbe lo stesso), colpisce, oserei dire: fa male. E cos'è che 'fa male', che tormenta gli esseri umani da sempre? Alla domanda risponde l'attore con uno sguardo saputo ed una scrollata di spalle: l'Amore.

L'incipit si chiude con la domanda clou: ma da dove viene l'Amore?

La risposta è attinta alla filosofia greca e si cita il mito dell'Androgino. La storia non ve la racconterò nel dettaglio, mi preme qui abbozzare, invece, la scelta scenografica e la tecnica, nonché l'atmosfera che ne è scaturita. Protagonista è, come annunciato, la carta che si fa schermo per ombre che sono più raffinate delle cinesi classiche. Di nuovo un omaggio, elegante, tra le righe, a Platone, questa volta al suo mito della caverna, però stravolto. Là la proiezione sulle pareti di pietra era metafora della fallace opinione che gli uomini hanno del mondo, qui i disegni che impregnano il fragile fondale rivelano invece al pubblico la 'verità' artistico-filosofica. Ho scelto il termine 'impregnare' non per niente: a colpi di pennello intriso d'olio è scandita, con voluta lentezza, la successione di scene che compongono la storia. L'effetto è quello di un cinescopio (flip book o Daumenkino), solo che mentre in quell'invenzione ottocentesca la sovrapposizione delle immagini che scorrevano rapide tra le dita dava l'illusione del movimento, qui il ritmo, come annunciato all'inizio, è dilazionato. Prima il fruscio, l'ombra del pennello, infine la traccia, poi la strisciata di umido si scurisce, si diffonde, finisce per sporcare la carta di un'intensa macchia d'oro che acquista forma, connotati. E poi arrivano le parole, a corollario. A volte si arricciano nel silenzio le note di un violoncello, corollario di foglie sonore alla fioritura della chiazza. Un esercizio di pazienza, di fascinazione che si muove sui binari di un'altra epoca: da una naftalina di secoli è stato riesumato l'andamento lento degli Aedi dell'antica Grecia o dei menestrelli medievali. Un racconto che si prende tutto il tempo necessario, perché serve ad intrattenere, a passare il tempo, per l'appunto, a riempirlo in maniera significativa, a farlo fiorire, fruttare, maturare. Il racconto serviva a dimenticare il freddo delle interminabili notti invernali, a scacciare la paura di una natura ancora feroce e di un'umanità non meno cruenta. La voce del narratore placava e ammansiva, distraeva, seduceva, liberava la mente e la faceva volare lontano, le lasciava anche lo spazio del silenzio, per darle il tempo di masticare e digerire il banchetto di parole. E di pasto si tratta anche qui, dentro e fuori la metafora. Una tavola approntano gli dei, voraci e pretenziosi, che però rimane vuota e offre la scusa ad una gemmazione di metafore. Incastonato al centro della sfera è un bicchiere in cui, allo scoccare delle 12, viene versato dell'olio, forse rimando all'ambrosia, bevanda degli dei; ma il liquido d'oro trabocca, gocciola, scivola fino ad occupare l'intera superficie sferica proiettata sulla tela, che forse, si scopre ora, era un piatto di vetro, pieno d'acqua. Ora i due liquidi non solubili allacciano abbracci nella forzata convivenza. Il cuore giallo è circondato dalla trasparenza fluida a cui viene aggiunta una polvere verde. Una forchetta che sbatte l'emulsione fino a scomporre il grasso in gocce gonfie, sparse come crateri sulla superficie acquosa, crea un'immagine da viaggio spaziale, onirica, mesmerizzante. Ho letto in quel pianeta instabile, popolato di gas e movimenti tettonici, una riuscita rappresentazione della nascita (dovrei meglio dire, visto che sono coinvolti gli Dei: creazione) del mondo. Dal macrocosmo al micro: il colore sparisce, rimane il cerchio bianco e gibboso della luna, ancora un richiamo al dualismo, poiché l'androgino discendeva, appunto, dal satellite terrestre, combinazione di terra (elemento femminile) e sole (elemento maschile). Questo essere completo che ha in sé entrambi i sessi, gli dei lo creano con lo scopo molto pratico di garantirsi un plotone di esseri efficienti che procurino offerte regolari di leccornie varie. Il Kugelmensch, l'uomo palla, occupa quindi l'intera circonferenza lunare e dal suo corpo tondo sbocciano gli steli di 4 gambe e fioriscono le mani a ventaglio di 4 braccia. Due teste coronano questa specie di coleottero umanoide, un incubo kafkiano ante litteram.

L'epilogo è [a volte tristemente] noto a tutti: gli dei vendicativi decisero di tagliare in due l'essere ribelle che aveva latitato nella necessaria devozione, destinando le due risultanti creature imperfette, ad un destino di ricerca della metà mancante per le strade del mondo. E la chiusa umoristica, che chi cerca, trova qualcuno che cerca qualcun altro, mentre chi non cerca affatto, trova per caso e fa centro, ha strappato un sorriso.

Il coraggio di questa compagnia non si è limitato all'impresa di sfidare con mezzi minimal, pure sagacemente reinterpretati, la società accelerata contemporanea, pervasa da ritmi febbrili, eccitazione spiccia, viziata dalle sirene della performance. Ardito iniziare alla pazienza chi, inevitabilmente, allevato a pane e media, ciuccia dal seno del consumismo di massa, già dalla culla. Una voce bambina, tra il pubblico, aveva preso ad intercalare ogni battuta ed ogni gesto degli attori con un “e adesso?” “e allora?” “e adesso?” Le ha risposto la maestà del silenzio e lei ha finito per acquietarsi ed iniziare a guardare.

Attenzione e cura richiede anche la fruizione dei libri che i due attori hanno presentato dietro le quinte, una traduzione narrativa dello spettacolo in cui le pagine sono strappate o ritagliate una ad una, così da creare spioncini o oggetti in rilievo intorno a cui danzano le parole. Una tiratura necessariamente limitata, fatti a mano, ciascuno un pezzo unico. Un'impresa destinata al fallimento, verrebbe da dire, in un'epoca che viaggia alla velocità della luce delle connessioni elettroniche, che vive di apparecchi tecnologici, supporti artificiali, ebooks e via di seguito. Un coraggioso sussurro che un altro mondo è possibile, un altro passo, un'altra andatura, più umana.

2 commenti:

  1. grande capacità descrittiva in maniera da far partecipare attivamente anche chi non ha visto lo spettacolo. Nulla è trascurato. Un modo diverso per parlare della vita e capire tutti i suoi aspetti più intimi. Bravissima. LuAip1951

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